
Il punto di vista – #PdV
Sogno Siberiano
Un viaggio desiderato a lungo e vissuto con profondo piacere, ma il suo ricordo si è come “congelato” di fronte al ritorno alla realtà difficile della clausura. Le emozioni sono rimaste sospese a mezz’aria nella mente di Maura che solo a distanza di mesi è riuscita a rielaborare quei ricordi.
Per presentarmi, comincio dal mio ultimo viaggio in Siberia, e c’è una ragione precisa: quando il mio gruppo si apprestava a partire da Roma, molti aeroporti italiani ed esteri decidevano di chiudere come misura di contenimento del covid e l’8 marzo (il giorno del nostro rientro in patria) l’Italia entrava ufficialmente in lockdown.
Questa premessa è necessaria per entrare nello stato d’animo che ci ha accompagnati durante l’intero viaggio, in una dimensione surreale, in un mondo parallelo di incosciente beatitudine, di tanto in tanto raggiunto dall’eco di quel che stava accadendo in tutto il pianeta.
Il ritorno, di contro, è stato drammatico, tanto da farmi percepire quel viaggio fantastico come se lo avessi sognato, quella terra così lontana, ancora più remota, con quei suoi spazi sconfinati, quel bianco abbacinante, quei colori sfumati, quelle atmosfere oniriche, in netto contrasto con la nuova lunga prigione in solitudine che mi aspettava tra le mura di casa.
A distanza di sei mesi riesco solo ora a ripercorrere le tappe del viaggio, permettendo ai ricordi di affiorare con tutte le sensazioni che spero di riuscire a trasmettere con questa selezione.
Ricordo il primo giorno che misi piede su quel lastrone, già stupita del tragitto a bordo di un hovercraft (aeroscafo sostentato da un cuscinetto d’aria e spinto da una grossa ventola) che ci permetteva di attraversare il lago come fossimo in una dimensione parallela (il ghiaccio è in grado di sopportare pesi enormi, compresi veicoli di 15 tonnellate).
Quello che si presenta subito è una distesa a perdita d’occhio di ghiaccio attraversata da linee e fenditure che si intrecciano in una fitta ragnatela, facendo apparire il lago come un immenso specchio in procinto di rompersi.
E in effetti lungo i primi metri si trattiene letteralmente il fiato, il lago ghiacciato sotto i piedi sgomenta, anche perchè le numerose crepe che di tanto in tanto si aprono, a causa del continuo movimento del lago, provocano dei veri e propri boati. Ma l’anima dell’esploratore ha ben presto il sopravvento e ci si addentra senza troppa difficoltà.
Si cammina indossando ramponi per evitare di scivolare e la sensazione è davvero unica: a volte, la trasparenza è interrotta da bolle imprigionate nel ghiaccio, alcune perfettamente geometriche, altre dalle bizzarre forme antropomorfe, tanto da trascinarti in un mondo immaginario di creature che sembrano vivere di vita propria.
Spesso si avvertono, al passaggio, sinistri rumori provenienti dagli abissi, come fossero abitati, e in realtà lo sono, considerando che pesci e piante proseguono la propria esistenza, noncuranti di quel che avviene al di sopra dello spesso strato di ghiaccio.
Durante i trasferimenti in auto sull’isola di Olkhon, lunga circa settanta chilometri, si attraversano paesaggi diversi, dalle stupefacenti grotte ricche di stalattiti, stalagmiti e cristalli di neve dalle meravigliose composizioni, a vere e proprie sculture di ghiaccio lavorate dal vento che fanno somigliare le rocce ad enormi candelotti, a quello che abbiamo battezzato “il cimitero di ghiaccio”, un’immensa estensione di lastroni trasparenti come cristalli di rocca, in strati sovrapposti ad altri coperti di galaverna, in un’atmosfera rarefatta che invita ad addentrarsi in solitudine, anche a rischio di perdersi, nella mancanza quasi totale di punti di riferimento. Si cammina in silenzio, senza un orizzonte definito, in una sorta di rapimento estatico.
La strada del ritorno, da Khuzir ad Irkutsk, sebbene attraversi un paesaggio sicuramente più antropizzato, conserva il fascino della tundra siberiana, dove il bianco, quando non resta immacolato, si colora di molte sfumature, assumendole dall’azzurro del cielo, da un timido raggio di sole o dalle piante su cui si posa la magica galaverna, tenendoci ancora avvolti in quell’atmosfera di sogno da cui ci sveglieremo bruscamente soltanto in Italia.
Nata a Brindisi, dopo una decina d’anni vissuti tra Firenze e Napoli, si trasferisce a Bari dove tuttora vive più o meno stabilmente. Il passaggio dalla fotografia analogica, orientata quasi esclusivamente ai rilievi tecnici, a quella digitale, è stato un processo graduale e piuttosto discontinuo, fino all’esplosione di una vera e propria passione per la fotografia del paesaggio. E’ una giramondo e trae gran parte della sua ispirazione dai viaggi che affronta sempre con lo spirito dell’esploratore.