
Il punto di vista – #PdV
La sindrome del capanno
La prima reclusione, quella del 2020, vista a un anno di distanza. Portò sgomento i primi giorni, poi la nostra autrice ha trovato il modo di ingannare il tempo, concedendosi la possibilità di osservare e fotografare i frequentatori delle mangiatoie. Un approccio nuovo per una fotografa paesaggista, che le ha regalato nuove emozioni e la possibilità di esplorare un nuovo terreno fotografico.
La primavera arriva come sempre improvvisa, portando con sé fiori e un’aria nuova, e il risveglio di ogni abitante del prato di casa, mi spinge a uscire dal torpore invernale. La nuova euforia invade anche quest’anno Castions delle Mura, il piccolo paesino nella campagna della pianura friulana dove risiedo, fra Palmanova e Cervignano.
La mia passione è la natura e fotografarla in tutti i suoi aspetti mi emoziona ogni giorno, ormai da anni. E per questa mia vocazione la primavera è immancabilmente un momento propizio, una parentesi ciclica dove colori, suoni e profumi vanno fondendosi in un qualcosa che, per l’occhio del fotografo, ha qualcosa di magico.
Anche la mia amata montagna è sempre lì, ad attendermi, ma devo presto realizzare che ancora una volta non posso correrle incontro. Mi guardo attorno e il cielo è pieno del canto degli uccelli che non disdegnano gli alberi del giardino, anche se l’incanto è guastato da un retrogusto amaro. Questa strana parentesi di una primavera così lontana si ripropone di nuovo, per la seconda volta, da quando l’arrivo della pandemia ha cambiato tutto. Inevitabilmente il tempo piatto della restrizione rimanda la mente a un anno fa, facendo riaffiorare impressioni e ricordi di un lockdown che, malgrado i mesi trascorsi, non pare poi così distante.
Un anno dopo, passando davanti alla finestra del bagno che affaccia sul pesco noce e il ciliegio, ripenso al capanno che proprio lì avevo allestito nel 2020 per tenere vive le mie passioni.
Sotto quegli alberi si trovano le mangiatoie invernali, utilissime durante i rigori della stagione fredda per numerose specie, che tuttavia non ho mai avuto il tempo di osservare attentamente. Da sempre mi sono dedicata principalmente al paesaggio, anche perché la mia attrezzatura fotografica non comprende lunghe focali: pertanto, seppur piacendomi, l’avifauna non era mai stata una mia vera priorità. La posizione privilegiata di quello strano e intimo capanno cambiò le carte in tavola, ovviando al bisogno della focale lunga.
La ricerca di ottenere foto interessanti dei piccoli frequentatori alati del giardino, mi fece capire che non è un’attività né semplice né noiosa e, giorno dopo giorno, mi appassionò sempre più.
Il tempo investito nell’appostamento domestico ha ingannato in qualche modo l’emergenza Covid. Ho ricercato la luce più favorevole alla fotografia, trascorrendovi quattro ore al mattino e tre nel tardo pomeriggio, e mentre il tempo passava, in un mese riuscii ad osservare ben tredici differenti specie.
Per una neofita del birdwatching è stato un trionfo! Entrarono a quel punto in gioco manuali da consultare, amici da interpellare: tutto ciò che potè essere di aiuto a capirne qualcosa in più. Insomma, la novità mi piacque! Tortora dal Collare, Frosone, Pettirosso, Storno, Merlo, Ghiandaia, Fringuello, numerose Cinciallegre, Scricciolo, Capinera, Passero, Gazza e Peppola sono le frequentatrici giornaliere. La bellissima Peppola è quella che più mi emoziona; dopo alcune giornate di osservazione, riuscii a fare una buona foto di una bella coppia, dal marcato dimorfismo, sui rami più alti del ciliegio. La più difficile fu la ghiandaia, sempre diffidente, sempre elusiva.

A tutte queste emozioni ripenso guardando adesso quegli alberi da frutto attraverso la mia finestra.
Un anno è passato. Una nuova, forse tristemente simile, primavera è alle porte.
Il drammatico momento del Coronavirus ho tentato di combatterlo anche a modo mio e, a chi diceva state a casa, ho risposto chiudendomi all’interno del mio capanno improvvisato…per fotografare si intende!
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